Riceviamo e volentieri pubblichiamo il racconto dello scrittore livornese Fabio Artigiani ispirato alla canzone Khorakhané
KHORAKHANE’ – Il
canto del vento
foto di Marlenekzio |
Sto, come al solito, a
guardare il cielo, sul finir della sera.
Il vento spira forte da
Est e si fa strada nel nostro campo, quasi sorpreso ogni volta di
trovarci in un posto diverso. La nostra vita segue inevitabilmente il
giorno, i nostri battiti rallentano via via che il sole svanisce
mentre torniamo a testa stanca verso i nostri alloggi viaggianti,
lungo strade sperse in grandi distese di campi incoltivati. Questa
volta abbiamo fermato i nostri passi un po' più a lungo, qui, in
questo campo dove qualche tempo fa gli anziani costruirono un pozzo
artesiano e che poi i civili trasformarono in cemento e gabinetti. I
bambini corrono, giocano e pisciano, sguazzano in quei laghi gialli
inassorbiti dalla terra ricoperta di catrame. A me non capitava,
eravamo liberi, i nostri campi erano come da secoli esistevano, fatti
di terra e fuoco. E la nostra gente ci viveva sopra tra miseria e
fortuna. Il passato avvolge spesso i miei pensieri e li trasforma in
ricordi che mi fanno battere veloce il cuore.
Quando morì, mio padre
mi regalò la collana che portava sempre, la collana di famiglia, con
un pendaglio a forma di toro. Chiunque incontriamo nei nostri viaggi,
di qualunque casta, sa chi sono. La stirpe è generosa nel suo
significato: posso bere e mangiare con tutti, mi offrono alloggio. A
volte penso, e sempre, quando guardo il cielo, che anche ogni nuvola,
ogni fiume che guadiamo, ogni foglia che cade, ogni polvere
calpestata mi riconosca e mi saluti. Tutto questo ha sapore antico,
porta con sé la testimonianza di generazioni dello stesso sangue
gitano, gente di popoli dove magia e mistero si fondono alla
necessità di sopravvivenza, dove il pane ha lo stesso valore di una
collana a forma di toro per una ragione di vita giusta, libera,
dignitosa in tutta la sua sacralità, in quanto vita.
Mi ricordo ancora quando
da bambino guardavo stupito le rughe di mia nonna, le sue vene sulle
tempie così pronunciate, le sue grandi labbra, le sue mani che
sentivo così ruvide quando prendeva le mie per insegnarmi i segreti
della vita nascosti tra le pieghe naturali della nostra pelle. O per
avvertirmi di stare attento ad ogni elemento della natura: acqua,
terra, fuoco e aria, ognuno che prende e che dà, esige rispetto,
paura, comprensione, soprattutto in quei messaggi mutevoli, nascosti
dalla storia della Terra. Ho l’immagine di mia nonna sola, a
sbirciare quel che resta della sua vita davanti ad una finestrella di
plastica, ad ammirare fuori un mondo che non le appartiene più.
Mio nonno trovò la morte
in Polonia durante le persecuzioni: lo presero e lo fucilarono appeso
a testa in giù insieme ad altri trenta zingari, in piena campagna,
in modo che tutti potessimo vedere. Fummo costretti a fuggire
lontani, prima in Ungheria, poi in Yugoslavia fino ad arrivare in
Italia. Non dimenticherò mai le lacrime di mia nonna davanti a
quell'orrore, o le lacrime di mio padre quando ci incendiarono
l'intero campo vicino a Danzica; e ancora lacrime, di mia madre,
quella sera attorno ad un falò a ricordare e finalmente poter
piangere di sollievo, sotto le ombre delle nostre giostre ormai
stanche e in disuso.
E oggi è giorno di
elemosine. Le bambine si portano fino alla periferia della città a
mendicare qualche spicciolo. A volte tornano con i segni addosso, con
le bastonate dei civili. Ci dicono di essere state picchiate, così,
per odio, insultate - Ladre! Andatevene via e dite ai vostri genitori
che se rubano ancora, stavolta gli diamo fuoco! -.
Ma chi ha il diritto di
giudicare la nostra gente, le nostre usanze, la nostra vita? Il caso
governa ogni punto di vista, ogni pensiero, ogni popolo ed ogni uomo
ad esso assegnato.
I nostri occhi zingari
sono rivolti solo a Dio. Come ora, che guardo il cielo farsi scuro, e
sento di lontano le nostre donne accendere il fuoco, intonando il
nostro canto più antico:
- Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa.
Chi sarà a raccontare
chi sarà
sarà chi rimane;
io seguirò questo migrare,
seguirò
questa corrente di ali –
Questo racconto è ispirato alla canzone "Khorakhané (a forza di essere vento)" di F. De André - I. Fossati (Edizioni Musicali: Il Volatore s.r.l., Nuvole s.a.s., BMG Ricordi S.p.A.) di una cui parte è qui riportata la traduzione, a termine del racconto, tratta dal libro "Fabrizio De André - I testi e gli spartiti di tutte le canzoni" edito dalla casa editrice Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. nella collana "SuperMiti".
Fabio Artigiani
Fabio Artigiani
E' stato redattore per la testata pisana “L’alternativa”. Autore S.I.A.E. ed apprezzato fotografo non professionista, tiene per un breve periodo la rubrica “Il bonsai stupido” su “Corsera.it”. Apre il blog “Cambiare se stessi”, poi divenuto “Fabio cambia”, dove pubblica poesie, riflessioni e foto, anche attingendo da argomenti di attualità. Ha collaborato con la testata giornalistica “Buone Notizie.it”. Scrive articoli per il giornale “Livorno non stop”. Pubblica "Appunti ai Naviganti - tra terra e mare" per Pascal Editrice. Apre l'omonimo blog. Counselor. http://appuntiainaviganti. blogspot.com